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Scritti per Ventiquattro

Giovani in bilico

di Fereshteh Sari

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Il fotografo Edoardo Delille ha condotto una ricerca sulla condizione dei giovani in Iran. Nel Paese due terzi della popolazione ha meno di trent'anni e vede nell'Occidente, conosciuto attraverso i canali satellitari, tutta quella libertà che la dittatura soffoca giorno per giorno.
Il fotografo, in particolare, si sofferma sulla condizione delle donne che cercano spazi sulla scena culturale e artistica e si scontrano con una censura ferrea.


Nilufar disse: «Muoviti, vieni qui. No, Aftab non è in casa, è uscita con gli amici. Devo assolutamente parlarti, vieni?! Ti faccio il dolce allo zafferano. Bene, allora ti preparo quello alla cannella, arriva presto. Arrivederci».

Nilufar appoggiò la cornetta accanto alla scodella di porcellana a fiori rossi che aveva preso dalla credenza della cucina. Versò una busta di farina triplo 0. Aggiunse tre tuorli. Ci fosse stata Roia, avrebbe suggerito di aggiungerci alcune gocce di limone e preparare una maschera per la pelle grassa del suo viso. Ma chi aveva voglia di farsi la maschera al viso, e sopportare il puzzo dell'uovo, e per chi? Roia diceva che avrebbe dovuto farlo per Aftab, doveva riprendersi per lei, perché non si demoralizzasse.

Aftab, Aftab, tutto per amore di Aftab. Quanto mi si stringeva ora il cuore per me stessa, me a vent'anni, la medesima età di Aftab: come se quella me fosse un'altra mia figlia, una figlia perduta durante i giorni delle manifestazioni e della Rivoluzione.

Domani devo essere di buon umore. Che fatica temporeggiare sulla plastica di Aftab. È dall'estate che insiste perché la porti alla clinica di chirurgia plastica "Ariana". Spero che il dottore valuti bene e la dissuada. Per quanto le abbia detto e stradetto che il suo naso è bello e le sta bene, non crede alle mie parole. Aveva tre anni quando un colpo di vento, spalancando l'anta del portico, le aveva sbattuto la maniglia in faccia. Era diventata viola di pianto e di dolore. Il suo pianto muto mi spezzava il cuore, non le arrivava più il fiato in gola, stavo per morire di paura, ero ancora tutta un tremito per il litigio con suo padre.

Preoccupata per Aftab, ero corsa in camera sua. I giocattoli sparsi per la stanza, lei non c'era. D'un fiato arrivai all'ingresso, non so da quanto fosse lì, dietro alla finestra, a osservare il vento che giocava con il platano. Forse voleva allontanarsi dalle nostre urla. L'avevo abbracciata, coccolata, finché non le era tornata la voce. Mi aveva commosso il suo pianto muto, piano piano le era tornato anche il colore in viso, anche se era più pallida del solito.

Man mano che cresceva, il segno si evidenziava sempre più, una specie di cecio sulla curva del naso. Il medico da cui l'avevo portata per il richiamo del vaccino aveva detto che il naso s'era incrinato e saldato da solo. Dopo l'adolescenza il cecio era scomparso, ma lei continuava a toccare e ritoccare il punto dove si trovava. Le sue amiche s'erano rifatte il naso per diventare più belle, e Aftab insisteva per eliminare la gobba dal suo. Quale gobba? Niente da fare.

Ancora adesso il ricordo della mia angoscia per il vento, il volto violaceo di Aftab, il respiro che non le tornava per il dolore, e il mio corpo tremante, s'annidavano in un cantuccio del mio spirito, accanto ad altre mille insicurezze. La stessa Aftab chiedeva ridendo: «Che tenerezza, davvero ho pianto così tanto?!».

Si sentirono tre tocchi di campanello. Nonostante riproducesse un suono di pianoforte, ogni volta che il campanello suonava inaspettato il cuore di Nilufar sobbalzava. Si dette uno sguardo nello specchio vicino all'attaccapanni, sistemandosi con la mano un ciuffo di capelli spiritati. Aprì la porta. Era Roia, con una scatola di dolci: «In realtà ti avevo fatto uno squillo davanti casa tua, i discorsi sul dolce di zafferano o cannella m'hanno fatto venire l'acquolina in bocca, ho comperato i dolci qui di fronte, ti piacciono le mele alla cannella?».

«Non potevi dirmi che eri qui sotto? Non pensavo mi stessi chiamando dal cellulare. Appoggia là che mi metto un po' di rossetto, sono molto pallida?».

«No, stai bene. Brava, il tè è pronto, come hai fatto a fare l'impasto così in fretta? Adesso capisci che a volte non è male prendersela più comoda!».

«Se non fosse che mi sono venuti dei pensieri, il dolce sarebbe pronto... Appoggia i dolci su quel tavolo, adesso verso il tè, lo vuoi nel bicchiere?».

«Sì, il soprammobile è nuovo?».

Che bello che ci sia Roia, lei parla e i miei pensieri se ne vanno, dovrei dirle che siamo telepatiche perché stavo per telefonarle io.

«No, ma sai cos'è? Un contenitore di abiti da hammam. Un tempo, lo tenevano nello spogliatoio. Era la prima cosa che una madre metteva da parte per la dote della figlia».

«Che bellezza, tutti questi ricami a mano e le immagini delle rose e degli uccelli del paradiso solo per il bagno turco? Che ritmo di vita rilassato!».   CONTINUA ...»

«Mamma, poveretta, l'aveva messo da parte per la mia dote, non pensava che la figlia sarebbe finita in carcere, arrecando disonore, come diceva lei. Nel primo periodo della Rivoluzione non si sentiva ancora parlare di diritti umani, e avere una giovane figlia in carcere era una vergogna per una famiglia tradizionale, mia madre si è consumata fino a morirne. Lasciamo perdere!».

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